mercoledì 23 dicembre 2009

Buon Natale e Buon Anno!


Domani è la vigilia di Natale e vogliamo festeggiarlo con alcuni video. Il primo è questo dell’albero di Natale di Copenhagen, acceso pedalando in occasione del vertice sul riscaldamento globale.
Un’idea simpatica, ecologista e innovativa.
Ecco il video


Poi un altro video sull’accensione dell’albero da parte di Barack Obama alla White House. Per chi mastica l’inglese trovate il video a questo link


E infine un omaggio musicale per tutti noi, per questo gruppo, ai vecchi amici come dice la canzone, quelli di facebook , quelli conosciuti durante i congressi e stando da questa parte, e ai vecchi tempi, brindando con una coppa di gentilezza!


Buon Natale e Buon Anno a tutti! Di cuore!
Il gruppo di Rivista Democratica

martedì 22 dicembre 2009

Obama, il Cop15 e Hopenhagen


Si è conclusa pochi giorni fa, il 18 dicembre 2009, la conferenza di Copenhagen sul cambiamento climatico.
Per via dei deboli impegni assunti nella conferenza si è parlato di fallimento e di occasione mancata.
I meno pessimisti sostengono che si può ancora sperare che impegni più stringenti siano presi ai prossimi vertici e che comunque la conferenza ha visto i Paesi, che sono i maggiori responsabili del riscaldamento globale, raggiungere un accordo minimo, largamente insoddisfacente, ma comunque un accordo che può anche essere visto come un timido passo avanti e un precedente che potrà forse rivelarsi importante in futuro.
A noi che abbiamo seguito il vertice sui media tradizionali e su internet resta lo splendido appello di Barack Obama il penultimo giorno del vertice che testimonia una volta di più lo scarto negli ideali e nella visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo tra Obama e Bush.
Ecco il video sottotitolato.

Barack Obama ha investito pesantemente la sua credibilità nel veritice di Copenhagen nella speranza di convincere anche Cina e India a sottoscrivere l’accordo.
Il fatto, che l’accordo raggiunto sia modesto, molto inadeguato e troppo poco vincolante, di certo incide negativamente sulla credibilità ed il prestigio politico di Obama che però a noi continua a piacere moltissimo per la tenacia nell’affrontare i problemi di oggi e nel sostenere anche battaglie difficili e in salita che non portano facile consenso ma in linea con la visione e le idee dell’amministrazione Obama.
Segnaliamo anche la magnifica campagna sociale Hopenhagen che gioca con il nome della città, campagna costruita con le più moderne tecniche di partecipazione e mobilitazione sul web, che anche se non è stata coronata da un grande successo politico ci insegna molte cose su come portare avanti cause e mobilitazioni nella rete.
Per finire ecco un po’ di rassegna stampa: la Repubblica, il Corriere, la Stampa. l'Unità

domenica 13 dicembre 2009

Il confronto Caffarra-Errani e l’art.42 sugli eguali diritti di accesso ai servizi per tutti i cittadini



È della scorsa settimana l’intervento del cardinal Caffarra, arcivescovo di Bologna, sull’articolo 42 della legge finanziaria della regione Emilia Romagna, ancora in discussione, che equipara la famiglia, alle coppie di fatto e ai single per quel che riguarda i diritti di accesso ai servizi regionali.
“L’insoddisfazione della Chiesa bolognese si era sollevata nel momento in cui facendo riferimento al registro anagrafico, la regione stabiliva parità di diritti nell’accesso ai servizi alle famiglie sposate e costituzionalmente definite e a quelle che invece sono delle semplici convivenze, che quindi includono ogni unione di fatto, ogni coabitazione. “norme ingiuste che non meritano di essere rispettate” aveva tuonata Caffarra.” Qui l'articolo completo.
Ricordiamo che l’Emilia Romagna, recita l’art. 42, “riconosce a tutti i cittadini di Stati appartenenti all’Unione europea il diritto ad accedere ai servizi pubblici e privati in condizioni di parità di trattamento e senza discriminazione, diretta o indiretta, di razza sesso, orientamento sessuale, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”.
È quindi un’importante norma antidiscriminatoria e testimonia una volta di più che l’Emilia Romagna è una regione guida in Italia nell’impegno per la parità dei diritti.
C'è stato un incontro per chiarirsi tra il cardinal Caffarra ed il presidente Errani, trovate l'articolo qui.
A noi pare sbagliato l’approccio del cardinal Caffarra che vuole proteggere la famiglia, limitando i diritti d’accesso ai servizi ai cittadini single e conviventi. Non crediamo che la crisi della famiglia tradizionale sia aggravata da un provvedimento che amplia i diritti delle persone, includendole ancor di più nel patto sociale. A questo proposito ha ragione Bonaccini quando dice che estendere i diritti rende la comunità più forte. Posizione condivisa da molti nel Pd E vorremmo aggiungere che a nostro avviso in politica quando si finge di non vedere un problema lo si nega.
Ci sono nuove articolazioni del vivere insieme che assomigliano molto alla famiglia tradizionale e che meritano un riconoscimento e una tutela giuridica all’insegna della civiltà. Questa a nostro avviso è la battaglia di cui deve farsi carico il PD, per la parità di diritti e l’eguaglianza.
Se vi va di discuterne, ci piacerebbe conoscere la vostra opinione o idea in merito.
In proposito vi segnaliamo un po’ di articoli sul confronto Caffarra-Errani: la Repubblica, il Corriere, il Foglio, il Resto del Carlino, Romagna oggi

sabato 12 dicembre 2009

Nostalgia del futuro

di Giuseppe Varini

Giuseppe Civati
Nostalgia del futuro
Marsilio



“Uno dei temi inediti alla politica italiana è quello dell’estensione dei diritti civili. Le differenze e le diversità non hanno copertura politica e legislativa, così come la famiglia che cambia, le sue profonde trasformazioni, un modello tradizionale che si articola in modo radicalmente nuovo. Anche in questo caso, la visione conta: laico vuol dire innanzitutto vedere le cose per quello che sono, non raccontarci favole, non cercare di far aderire quello che osserviamo alle nostre convinzioni. Bene, come sono le famiglie italiane? Come valutare il fenomeno dei single, delle coppie ricostituite, delle coppie di fatto? Non ha alcun valore ideologico opporsi alle cose che succedono, in questo campo. Perché succedono anche se la politica si augura il contrario, perché non possono essere definite giuste o sbagliate. Perché gli stili di vita sono liberi nell’accezione più propria del termine. In politica non vedere significa negare. E noi stiamo negando queste articolazioni della società.
Tanti dei nostri problemi dipendono dalla modalità da scontro di potere con le quali ci si confronta su questi temi, che un grande partito dovrebbe rifiutare (e chi così le interpreta, lo dico sommessamente, forse ha sbagliato partito). Perché un partito laico e rispettoso di tutti ha più a cuore i diritti delle persone, la libertà delle loro relazioni e il sostegno da dedicare ad esse rispetto alle proprie convinzioni di parte. Dobbiamo riconoscere il ruolo della religione, prenderlo sul serio, proprio nel momento in cui, però, sappiamo tutelare anche la sensibilità di ciascuno, il diritto a vivere la propria vita, senza condizionamenti di sorta. Soprattutto in una società che si è così trasformata e che si è nuovamente articolata. Questi ultimi due punti, la diversità e il rapporto con la religione, sono i temi del nostro tempo, dal punto di vista culturale. Sono la posta che c’è in palio, per tante persone, per tante coscienze. Che va diversamente interpretata. Obama, che è religioso, ci riesce. Perché tiene insieme il ruolo influente della religione – un fatto, lo dice il nome stesso, immediatamente sociale – con un forte richiamo ai principi costituzionali e all’esaltazione delle differenze. E alla loro tutela. Questo è il punto a cui dobbiamo guardare. Questa è la sfida che dobbiamo saper raccogliere. […].”
Giuseppe Civati

Giuseppe Civati è politico e studioso. E’ laureato in Filosofia e ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università Statale di Milano. È stato segretario dei DS a Monza e consigliere comunale per due legislature, nel 2005 è stato eletto al Consiglio regionale della Lombardia.

Questo passo è tratto dal suo libro Nostalgia del futuro che è venuto a presentare anche a Modena e che ha per sottotitolo La sinistra e il Pd da oggi in poi. Un libro che ripercorre i primi due anni del Pd, raccontando gli accadimenti, gli errori e le occasioni mancate con humor, leggerezza e freschezza. Ma non solo, in 119 pagine Giuseppe Civati fornisce molti spunti su cose che possiamo e dobbiamo fare per dare finalmente un profilo chiaro, credibile e riconoscibile al Pd e sviluppa proposte sui temi di oggi: il lavoro, l’ambiente, la sicurezza, l’integrazione, la laicità. Tra l’altro con un’ottima scrittura. Un libro che si legge d’un fiato. Qui riportiamo un pezzo su famiglia e laicità. Tema molto attuale in Emilia Romagna dopo il confronto a distanza tra il cardinal Caffarra e il presidente Errani proprio su famiglia, convivenze e diritti.

Se poi qualcuno fosse interessato qui sotto riportiamo il video della presentazione della Nostalgia del Futuro in Feltrinelli a Modena il 30 settembre scorso.

domenica 6 dicembre 2009

Alcuni spunti sul No B.Day raccolti in rete



A proposito del No Berlusconi Day a cui abbiamo avuto il piacere di partecipare, segnaliamo queste parole di Vittorio Zambardino, giornalista di Repubblica ed esperto di comunicazione politica on line. Sono tratte dal suo articolo che trovate qui in versione integrale, nel quale analizza le modalità innovative e non che hanno reso possibile l’organizzazione e il successo del No B-Day. Analisi che condividiamo e da cui riteniamo ci sia molto da imparare per chiunque vuol provare a fare politica nell’era di facebook e i social network.

“Tutto comincia su Facebook, dove altro? C'era una volta - c'è ancora per la verità - la macchina della Cgil. Poi, in altre zone politiche, quelle che hanno organizzato il Family Day, le masse della presenza cattolica. E anche il Cavaliere, quando ha voluto, ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone, poi diventate milioni nelle dichiarazione del dopo (avvertenza a tutti i naviganti di ogni colore: sono ormai in uso le tecnologie di calcolo delle folle sulla base di analisi computerizzate di immagini prese dall'alto: occhio alle polemiche sui numeri in piazza basate sulla "spannometria"). E insomma c'erano una volta le macchina "fisiche", "materiali" che portavano in piazza le grandi masse. Macchine verticali, dirette dall'alto. Roba ancora viva, ma superata. Signori, ecco a voi, la macchina orizzontale. Non virtuale, reale, vera, col cuore che pulsa nel social network. Perché l'onda della manifestazione del 5 dicembre comincia il 9 ottobre, su una pagina Facebook promossa da cinque persone. […].
A guardare tutto questo come da un elicottero, quello che colpisce, è proprio l'aspetto di estensione intenzionata politicamente ma non eterodiretta, in altri tempi si sarebbe detto "spontanea", se non fosse un aggettivo ingenuo. […].
Perché è chiaro che qui di spontaneo c'è il carattere tecnico dell'iniziativa, ma poi dentro le tecniche del web ci sono espressioni politiche. […].
In ogni caso è questo il vento della rete, che ha molto contribuito a portare Obama dove sta adesso, e che ha messo le ali alla gente del 5 dicembre. Certo non è tecnologia al potere. Le idee sono sempre quelle degli umani. La tecnologia è piattaforma abilitante. La politica fa il resto.”
Vittorio Zambardino su Repubblica

Poi ecco due filmati da youtube che testimoniano la creatività dal basso di chi ha partecipato e organizzato la manifestazione:

Un bello spot, semplice e con un’ottima colonna sonora


E un filmato della manifestazione ben girato che testimonia il clima di festa e di protesta civile e ironica


E vogliamo concludere con le considerazioni di Federico Mello sul blog del Fatto. Trovate l’articolo completo qui.
“[…] A casa, chi era in piazza, chi si farà raccontare il No Berlusconi Day da amici e conoscenti, si porterà una convinzione. Che si può fare. Senza troppe fanfare, e senza divismi, in questo paese, può ancora accadere che la società civile si organizzi da sola, pacificamente, riesca a reinventare la politica dal basso coinvolgendo i cittadini per ribadire l'importanza di concetti come moralità e onestà. Il tutto partendo da Internet, da Facebook. Uno strumento, solo uno strumento, che diventa formidabile nelle mani di chi vuole spendersi per cambiare le cose. Perchè l'ultima cosa da mettere nella cassetta degli attrezzi è questa: ieri abbiamo capito tutti che Silvio è rimasto all'età catodica.”
Federico Mello sul Fatto

Da entrambe le analisi emerge potentemente il ruolo di internet e i social network come spazi di organizzazione di iniziative e manifestazioni politiche che è possibile tradurre in iniziative concrete e reali, di uomini e donne in carne ed ossa. Spazi, quelli di internet e dei social network, che sono importanti per la democrazia, tanto più in Italia dove i media tradizionali sono troppo concentrati nelle mani di Berlusconi, appunto, con grave pregiudizio della libertà di stampa e informazione che sono elementi essenziali delle democrazie ben funzionanti.

Il No B-Day ci ha dato, meglio e una volta di più, la consapevolezza che organizzarsi è possibile, anche da noi, anche in Italia, dove internet non ha la diffusione che meriterebbe un paese avanzato.

Se come diceva Guy Debord dallo spettacolo non si esce, allora forse possiamo offrire uno spettacolo differente, uno spettacolo democratico, dal basso e più simile al No B-Day.

Si dice: impara l’arte e mettila da parte. Di questa esperienza speriamo di poter fare tesoro per il futuro e siamo ben contenti di aver potuto dare una mano e aver partecipato a un simile evento politico.

Ecco in ultimo un altro po’ di rassegna stampa: la Repubblica, il Corriere, l’Unità

Disobbedienza e democrazia

di Giuseppe Varini

Howard Zinn
Disobbedienza e democrazia
Il Saggiatore



“[…]. Il politico prova fastidio e irritazione di fronte all’incalzare del riformatore radicale e l’osservatore moderato ritiene che sia sbagliato e poco saggio avanzare al potere richieste estreme, ma entrambe le critiche non riescono a operare una distinzione tra il ruolo sociale del politico e quello dell’agitatore. In generale, questa distinzione viene percepita più chiaramente dai riformatori che non dai detentori del potere. Wendell Phillips lo dice con chiarezza:

Il riformatore non è interessato ai numeri, disprezza la notorietà e si concentra soltanto sulle idee, sulla coscienza sul buon senso. […]. Non si aspetta né ricerca ansiosamente il successo immediato. Il politico vive invece in un eterno presente. […]. Il suo compito non è educare l’opinione pubblica ma rappresentarla.

James Russel Lowell espresse lo stesso concetto in un altro modo:

Il riformatore deve aspettarsi un relativo isolamento e deve essere forte a sufficienza da sopportarlo. Non può cercare la simpatia e la cooperazione delle maggioranze popolari. Questi sono gli strumenti del politico. […]. Tutti i veri riformatori sono invece incendiari. Ma infiammano il cuore, l’intelletto e lo spirito dei loro simili assolvendo così alla funzione loro assegnata nel saggio ordinamento voluto dalla Provvidenza.

L’osservatore che guarda il radicale con occhio critico potrebbe inconsciamente evocare l’immagine di un mondo popolato esclusivamente da gente che la pensa in un solo modo, un mondo dove non si fa che sbraitare, lamentarsi e denunciare. Ma sarebbe bene che provasse anche a immaginare un mondo privo di radicali , un mondo placido, statico e pieno di malvagità, in cui le vittime delle ingiustizie vengono lasciate a se stesse, dove chi è solo al mondo viene calpestato. Da sempre, è il radicale per primo a tendere la mano a chi è stato scaraventato al tappeto dall’ordine sociale, seguito soltanto dopo dal moderato. […].
Lincoln è il prototipo del politico al potere le cui opinioni sono talmente moderate da richiedere la pressione dei radicali come stimolo all’azione. La stessa natura del processo elettorale vuole che il politico sia una persona portata al compromesso e all’opportunismo: orienta la vela a seconda del vento più favorevole, e senza il soffio impetuoso del riformatore radicale si lascerebbe andare all’immobilismo o seguirebbe il flusso dell’ingiustizia esistente. […].”

Howard Zinn

Howard Zinn è professore emerito di Scienza politica alla Boston University. È considerato il più importante storico radicale statunitense per i suoi studi autorevoli ed originali.

Il professor Zinn con un’ottima scrittura, che rende il libro di facile lettura anche ai non addetti ai lavori, racconta molti episodi cruciali della storia americana alla luce di questioni fondamentali come le divisioni razziali e sociali, il rapporto tra legge e giustizia, le forme di lotta non violenta al potere costituito. Zinn racconta episodi concreti: la repressione dei moti operai, le manifestazioni dei neri contro la segregazione, i processi ai militanti contro la guerra del Vietnam.
Howard Zinn è uno storico militante che non ha mai fatto mistero di come la pensasse e di come, a suo avviso, la storia debba servire a fare luce e chiarire le radici dei conflitti del presente.
Tra l’altro è stato strenuo oppositore delle guerre americane nell’Afghanistan e in Iraq.
Di Howard Zinn segnaliamo anche la Storia del popolo americano, una storia degli Stati Uniti dal basso, come è stata vissuta, sulla base dei documenti, da coloro che hanno contribuito ad edificare la nazione dalla posizioni più umili (gli indiani d’America, i neri, gli immigrati europei, ecc.) raccontando le loro lotte e difficoltà e le ingiustizie subite di cui la storia degli Stati Uniti è lastricata.
E You can’t be neutral on a moving train che ha un titolo che è tutto un programma ed è un libro di memorie molto autobiografico che spiega ancora meglio la tempra e il carattere di questo grande studioso.

La riflessione sul ruolo differente tra riformatore radicale e politico mi aveva colpito e trovo che abbia qualche assonanza con il No B-Day riguardo a come è nato e cresciuto il movimento e il suo rapporto col PD e con Bersani, a cui tocca l’onere della sintesi politica per non disperdere le energie mobilitate.

mercoledì 25 novembre 2009

ObaMao e i diritti civili



La foto è del logo della maglietta ObaMao pensata in Cina in vista della visita di Barack Obama.
L’idea testimonia una volta di più quanto Obama sia una vera propria icona come del resto lo era anche Mao. Da qui l’idea di ritrarlo come il grande timoniere.

In occasione della visita in Cina di Barack Obama riproponiamo alcuni passaggi significativi del suo discorso a Shanghai davanti agli studenti dell’Università Fudan

“[…]. Io credo che ciascun Paese debba delineare la propria rotta. La Cina è una nazione antica, con una cultura profondamente radicata. Al suo confronto gli Stati Uniti sono una nazione molto giovane, la cui cultura è influenzata da molteplici immigrati di origine diversa approdati ai nostri lidi, e dai documenti fondanti che ispirano la nostra democrazia. La nostra Costituzione prospetta una visione semplice dei rapporti umani, e custodisce numerosi principi e valori di fondo: che tutti gli uomini e le donne sono creati uguali e possiedono determinati diritti fondamentali; che il governo dovrebbe riflettere la volontà popolare e dare una risposta ai suoi desideri e alle sue necessità; che i commerci dovrebbero essere aperti, l'informazione liberamente accessibile, e che le leggi ? e non soltanto gli uomini - dovrebbero essere garanti dell'amministrazione della giustizia.

Naturalmente, la storia della nostra nazione non è stata esente da qualche capitolo difficile. Per molti versi, nel corso di molti anni, abbiamo lottato per poter far progredire la promessa di questi principi per tutto il nostro popolo, e plasmare così un'unione perfetta. Abbiamo combattuto una dolorosissima guerra civile, e affrancato dalla schiavitù una parte del nostro popolo. È occorso tempo prima che anche alle donne fosse esteso il diritto di voto, che i lavoratori conquistassero il diritto di organizzarsi, che gli immigrati di regioni diverse del pianeta si sentissero accolti e integrati. E anche dopo essere stati liberati, gli afroamericani continuarono a vivere in condizioni di segregazione dal resto della popolazione, senza essere considerati sullo stesso piano, finché non riuscirono a ottenere pieni e uguali diritti.

Niente di quanto ho elencato è stato facile da ottenere. Siamo riusciti però a fare progressi perché credevamo profondamente in quei principi di base, che ci sono serviti da bussola per orientarci nelle tempeste più terribili. Questo spiega perché Martin Luther King poté un giorno salire i gradini del Lincoln Memorial e chiedere che la nostra nazione vivesse concretamente ciò che si era impegnata a realizzare. Questo spiega perché gli immigrati dalla Cina in Kenya sono riusciti a ottenere asilo nella nostra patria; perché nel nostro Paese le opportunità siano a disposizione di chiunque sia disposto a lavorare per ottenerle, e perché uno come me, che meno di 50 anni fa avrebbe avuto difficoltà a votare in alcune regioni americane, oggi è in grado di servire il suo Paese come presidente. Questo spiega perché l'America parlerà e diffonderà sempre questi principi di base in tutto il mondo.

Noi non cerchiamo di imporre alcun sistema di governo a nessuna nazione, ma al contempo non crediamo che i principi costitutivi della nostra nazione siano esclusivi della nostra nazione. Noi crediamo che la libertà di espressione, la libertà di religione, come pure la libertà di accesso all'informazione e alla partecipazione politica siano diritti universali, di cui dovrebbero usufruire tutti i popoli della Terra, comprese le minoranze etniche e religiose, che si trovino negli Stati Uniti, in Cina o in qualsiasi altra nazione. In realtà è proprio questo rispetto per i diritti universali a ispirare l'America nella sua apertura verso gli altri Paesi; il nostro rispetto per le culture diverse; il nostro impegno nei confronti della legalità internazionale; e la nostra fede nel futuro.

Queste cose dovreste conoscere dell'America. So che anche noi abbiamo moltissimo da imparare sulla Cina. Osservando questa splendida città, guardandomi attorno in questa stessa sala, credo che le nostre nazioni abbiano qualcosa di molto importante in comune: crediamo nel futuro. Né gli Stati Uniti né la Cina sono soddisfatti di ciò che hanno raggiunto. Se la Cina è una nazione antica, è per altro evidente che essa guarda anche in modo lungimirante al futuro, con fiducia, ambizione, impegno, per far sì che le generazioni del domani vivano meglio di quelle odierne. […].”

Barack Obama, a Shanghai il 16 novembre 2009


Per chi volesse leggere la traduzione integrale del discorso la trova qui.
Segnaliamo anche alcuni commenti sugli esiti del viaggio di Obama in Oriente: quello di Federico Rampini e quello di Limes. Sono commenti attenti e ben argomentati che sottolineano come grandi risultati concreti non siano stati raggiunti. Alcuni commentatori hanno fatto notare che Obama non ha avuto la forza di criticare la Cina per via del suo crescente potere economico. Ricordiamo che la Cina è di gran lunga il maggior finanziatore del debito pubblico americano. C’è chi si spinge a sottolineare l’ascesa della Cina e il declino degli Stati Uniti, parlando del XXI secolo come secolo cinese.
E’ senz’altro vero ma l’approccio di Obama all’Oriente e la sua dottrina di politica estera multilaterale dimostrano appunto che la sua amministrazione ha ben compreso il fenomeno dell’interdipendenza globale che coinvolge anche gli Usa e la Cina, facendole abbandonare l’unilateralismo e la cowboy diplomacy di Bush che tante simpatie avevano alienato all’egemonia americana.
Inoltre a nostro avviso la dottrina Obama dimostra una volta di più che Barack Obama è il miglior democratico attualmente sulla piazza.

Per chi mastica l’inglese ecco il discorso in lingua originale. Buona visione!

Il secolo cinese

di Giuseppe Varini

Federico Rampini
Il secolo cinese
Mondadori



“[…]. La Cina suscita anche diverse paure. La più immediata, quella che riempie le prime pagine dei nostri giornali, è la paura economica. Ed è anche la meno giustificata. Se in Cina i tessuti filati costano un decimo di quello che costano da noi, anche in Italia c’è chi riesce a guadagnare disegnando vestiti che si possono produrre a buon mercato. Se i computer “made in China” costano un terzo, ogni agenzia turistica italiana risparmia su un apparecchio indispensabile per offrire i propri servizi ai clienti del mondo intero. I benefici della produttività cinese circolano invisibili in mezzo a noi , nelle nostre case e nei nostri uffici. Il “prezzo cinese” - cioè il fatto che questo paese è ormai in grado di produrre pressoché tutto, e con un 50-70 per cento di sconto – è una realtà economica che non si può rifiutare. Cercare di sottrarsi alla concorrenza cinese è impossibile, perché serve anche a noi. Abbiamo smesso da tempo di fabbricare computer o telefonini. Chiudere alla Cina vorrebbe dire amputarci di una parte del nostro tenore di vita. Quello sconto cinese che per alcuni di noi è una minaccia, per altri rappresenta un guadagno (consumatori, imprese che delocalizzano). Il 59 per cento delle esportazioni “made in China” in realtà sono “nostre”, cioè fabbricate da multinazionali dei paesi ricchi. Certo i molti benefici che otteniamo senza neppure saperlo coesistono con i danni immediati e dolorosi per industrie e lavoratori spazzati via da una competizione massacrante. C'è poi anche un “effetto declassamento”, che accentua la nostra sindrome psicologica del declino. Ben presto, quel club dei paesi ricchi che è il G7 sembrerà un’anacronistica finzione. Le sorti dell’economia mondiale - le nostre – verranno negoziate più semplicemente all’interno di un G2, fra America e Cina. Vista da Pechino, l’Italia è una miniatura: la nostra popolazione è la metà di una provincia cinese come lo Henan o lo Shandong (che molti italiani non hanno mai sentito nominare). Per ignoranza, pigrizia, provincialismo, l’Italia ha perso terreno anche rispetto ad altri paesi europei; non ha visto arrivare il secolo cinese, e quando ha aperto gli occhi li ha richiusi subito, urlando di paura. Come se dalla Cina ci si dovesse, ci si potesse soltanto “difendere”.
Oltre all’ossessione del “made in China”, si individuano paure ben più legittime. A questo ritmo di sviluppo, tra vent’anni la Cina avrà 200 milioni di automobili. Già oggi lo smog cinese contamina l’atmosfera di tutta la Terra: polveri tossiche di Shanghai vengono rintracciate nell’aria che si respira in Europa e in America. Per soddisfare il bisogno di legname dell’economia cinese, ogni anno in Indonesia vengono distrutte foreste pari alle dimensioni della Svizzera. L’impatto sulle risorse naturali del pianeta è una delle incognite più gravi del nostro futuro.
Il regime politico di Pechino rappresenta un’altra seria ragione di preoccupazione. Se nei prossimi anni non avverranno cambiamenti profondi, siamo destinati ad avviarci verso una situazione inedita nella storia contemporanea: per la prima volta la più grande economia del pianeta non sarà governata da un sistema democratico. Chi oggi mal sopporta l’egemonia americana rischia di fare i conti, in un futuro molto vicino, con un’altra superpotenza in cui le decisioni vengono prese senza trasparenza, senza contropoteri interni, senza gli anticorpi di un’opposizione, di una stampa libera, di una magistratura indipendente. Gli attuali dirigenti cinesi ricorrono spesso all’espressione “ascesa pacifica” per descrivere in tono rassicurante la traiettoria del loro paese. Ma al di là della propaganda, non sappiamo che tipo di superpotenza si propone di essere la Cina. […].”

Federico Rampini


Il libro è del 2005 ma l’analisi è azzeccata. Anche in questa crisi economica mondiale la Cina è uno dei paesi che ha reagito meglio ricominciando a crescere. Rampini pone molte domande e analizza attentamente le criticità ma non dà risposte dirette. Da corrispondente di razza fa emergere la realtà della Cina contemporanea con i suoi punti di eccellenza e le sue miserie attraverso il racconto di fatti, situazioni, storie individuali e collettive che introducono il lettore a questo paese enorme che già condiziona e condizionerà sempre di più l’economia e la politica mondiale.
La settimana scorsa Barack Obama si è recato in visita in Cina e noi per l’occasione vogliamo riproporre questo libro attento, veramente ben documentato e lungimirante, a nostro avviso uno dei migliori di Federico Rampini. Tra l’altro è molto ben scritto e si legge molto velocemente. Dote non trascurabile per un saggio di oltre trecento pagine.

martedì 17 novembre 2009

Patrizia Viviani un volto nuovo



Ecco una bella faccia e non perchè è carina ma perchè ha un eccellente profilo personale e politico e un'ottimo programma.
Lei è Patrizia Viviani candidata alle primarie del PD per il sindaco a Pietrasanta (LU), biomedico e biologa, nei DS dal 2005, coordinatrice di circolo a Pietrasanta.
Ed ecco alcune linee guida chiare del suo programma che vuole costruire con tutta la cittadinanza, dal suo blog che trovate qui:

"Ci piace lavorare insieme per contribuire a migliorare la qualità della vita di tutti noi.

si al dialogo con il cittadino
si alla tutela dell'ambiente e del territorio,
si alla salute dei cittadini prima di tutto

si all'edilizia convenzionata
si ai progetti prima casa per i giovani
si alle frazioni e alle loro necessità

si a Pietrasanta città d'arte
si alla Versiliana = cultura per tutti
si al patrimonio storico-culturale

si al turismo annuale
si a Pietrasanta dal mare alla collina
si alle manifestazioni di richiamo

si allo sviluppo economico
si alla semplificazione burocratica
si alla valorizzazione del volontariato e dell'associazionismo"

Patriza Viviani


Non so voi ma è il tipo di candidato che vorremmo vedere in ogni primaria per un incarico monocratico.
Se per caso avete amici e/o parenti Pietrasantini ancora indecisi invitateli a informarsi e conoscere la proposta politica di Patrizia Viviani.
Ricordiamo che c'è ormai poco tempo: le primarie a Pietrasanta sono questa domenica 22/11/2009.

Adesso lo possiamo dire: davvero una bella faccia, una di quelle facce che ne vorremmo vedere di più nel nostro Partito Democratico!

Un grande in bocca al lupo Patrizia!

lunedì 16 novembre 2009

Mille Piazze per l'Italia


Ecco un'iniziativa che siamo contenti di segnalarvi per mandare subito un messaggio al centrodestra che propone una pessima riforma della giustizia che serve solo al premier. Qui trovate cosa potete fare concretamente nella vostra città per essere d'aiuto. Per l'Italia, la Costituzione, le sue leggi.
L'occasione è importante. Non mancate!

lunedì 9 novembre 2009

Cosa ne pensate del terzo mandato a Vasco Errani?



Si fa un gran parlare del terzo mandato al presidente Errani? Voi cosa ne pensate: favorevoli? Contrari? E soprattutto perchè?
Ricordiamo che per statuto Errani deve chiedere la deroga all'Assemblea regionale. Molti dicono che la questione non è regolamentare ma politica. Voi cosa pensate?
Ecco alcuni articoli sul tema: romagnaoggi, il corriere della sera bologna.
Se poi aveste voglia potete votare il sondaggio che trovate in questo Blog

domenica 8 novembre 2009

Bersani e gli altri: gli interventi all'Assemblea Nazionale e un po' di rassegna stampa



Per chi li avesse persi ecco dall’Assemblea di sabato 07/11/2009 gli interventi a nostro avviso più interessanti.

L’intervento di Pier Luigi Bersani:


Quello di Dario Franceschini:


Quello di Ignazio Marino:


E poi quello bellissimo di Giuseppe Civati che ci piace sempre un sacco:


E le conclusioni di Pier Luigi Bersani:


E un po’ di rassegna stampa: i commenti di Repubblica, il Corriere, la Stampa, l’Unità.

L’avvio ci pare molto promettente. Chi ben comincia…

venerdì 6 novembre 2009

Lost in Pd

di Giuseppe Varini

Marco Damilano
Lost in Pd
Sperling & Kupfler 2009



[…]. È la presenza del Pd, la sua capacità di fare opposizione e di non accodarsi al governo, che permette al berlusconismo di definirsi ancora espressione di un sistema democratico e non di un regime. Non è scontata la presenza della sinistra in un Paese, così come non è data per sempre l’esistenza di un’opposizione. Anche l’opposizione può sparire, e non in conseguenza di un golpe militare o di una marcia fascista, ma per la pigrizia, l’ignavia, l’incapacità dei suoi partiti, dei suoi dirigenti, dei suoi intellettuali. Lasciando più soli i suoi militanti e quella parte di Italia che avrebbe avuto il dovere di rappresentare: paure, speranze, sogni. La voglia di cambiare nell’Italia del Cavaliere, che appare totalmente berlusconizzata ma anche stanca, vecchia, depressa, senza prospettive di futuro che non sia il lento e allegrissimo declino assicurato da Berlusconi. Il rivoluzionario, il sovversivo, l’eversore che in realtà è il Gran Conservatore, il tappo che tiene bloccata l’Italia ai suoi mali storici.
Per questo la crisi del Partito democratico riguarda anche chi non vota Pd, chi l’ha votato e non lo farà mai più, chi non lo voterà mai. È la crisi della rappresentanza e della politica in Italia. Per questo, dopo il disastro di questi mesi, dopo il rischio di scomparire, sarà necessario fondare un nuovo Partito democratico, un Pd2 in grado questa volta di incontrare davvero la rabbia e i desideri profondi che si muovono nella società italiana. […].

Marco Damilano


Marco Damilano è giornalista dell’Espresso e fine commentatore politico. Questo libro, che arriva fino alle europee e amministrative comprese, ripercorre le vicende e traversie del Pd dalla fondazione al 7 giugno 2009 appunto. Dopo come tutti sappiamo si è svolto il primo congresso del Pd che deve essere l’occasione del rilancio.
Damilano ricostruisce con precisione e acume i passaggi, gli errori, le sconfitte e le occasioni perdute che hanno costellato questi due anni. L’analisi è a volte impietosa ma sempre ben documentata e argomentata. Un’ottima lettura per ricordare o ricostruire come siamo arrivati fino a qui.
Domani c’è l’Assemblea nazionale e l’insediamento di Pier Luigi Bersani come segretario e nei prossimi giorni avremo modo di commentarne il discorso e le prime decisioni.
Da quel po’ che si è riusciti a capire sulla stampa l’attenzione dovrebbe essere rivolta al lavoro che è senz’altro un tema che in tempi di crisi economica agita la società italiana.

domenica 1 novembre 2009

La coscienza di un liberal

di Giuseppe Varini

Paul Krugman
La coscienza di un liberal
Editori Laterza 2008



“[…]. E queste battaglie avevano come posta in palio non solo la difesa del nostro tessuto sociale, ma anche la difesa della nostra democrazia. Il New Deal ha fatto più che creare una middle-class, ha anche portato l’America più vicina ai suoi ideali democratici, dando ai lavoratori un potere politico e mettendo fine al predominio dell’élite dei ricchi. […]. La legge sulla previdenza sociale del 1935 ha condotto, per progressione naturale, alla legge sul diritto di voto promulgata trent’anni dopo. Il pensiero liberal, in altre parole, non riguarda solo lo Stato sociale, ma anche la democrazia e la legalità. E quelli che si autodefiniscono conservatori stanno sul fronte opposto, con una strategia politica fondata, in sostanza, sulla strumentalizzazione dell’indisponibilità da parte di alcuni americani a garantire uguaglianza di diritti ai loro concittadini, a quelli che non hanno il loro stesso colore della pelle, a quelli che non hanno la loro stessa fede, a quelli che non hanno le loro stesse preferenze sessuali.
[…]. Quando liberal e conservatori si scontrano sul diritto di voto nell’America dei giorni nostri, i liberal sono sempre quelli che cercano di garantire questo diritto ai cittadini, mentre i conservatori sono sempre quelli che cercano di impedire ad alcuni cittadini di votare. Quando si scontrano sulle prerogative del governo, i liberal sono sempre quelli che difendono il rispetto delle procedure, mentre i conservatori sono sempre quelli che sostengono che chi ha il potere ha il diritto di fare come meglio crede. Dopo l’11 settembre l’amministrazione Bush ha cercato di incoraggiare un clima politico profondamente estraneo alla tradizione americana, in cui qualsiasi critica nei confronti del presidente era considerata non patriottica, e i conservatori americani, con poche eccezioni, hanno approvato con entusiasmo.
Credo in una società relativamente egualitaria, supportata da istituzioni che limitino gli eccessi di ricchezza e povertà. Credo nella democrazia, nelle libertà civili e nello Stato di diritto. Tutto questo fa di me un liberal, e ne vado orgoglioso.”

Paul Krugman


Paul Krugman è stato premio Nobel per l’economia 2008, insegna all’Università di Princeton ed è anche editorialista del New York Times.

Questo libro, scritto prima della vittoria di Barack Obama nelle elezioni presidenziali delle scorso anno e prima della grave crisi economica, ripercorre trent’anni e più di politica americana, sottolineando le scelte di politica economica che hanno avuto ricadute progressiste in termini di estensione dei diritti civili e crescita di una società middle-class, figlia del New Deal, e analizza l’involuzione conservatrice della società americana, iniziata proprio circa trent’anni fa all’epoca di Nixon e Reagan, che ha portato al regresso e alla messa in discussione di tali conquiste sociali e civili.
Un’analisi serrata di ciò che è andato storto, condotta con il rigore e l’acume scientifico di un grande studioso che ripercorre passo passo le scelte politiche e le ricadute in termini di politiche economiche e sociali di tali scelte.
Non è il classico manuale accademico ma un libro ben scritto, chiaro e di agevole lettura anche per i non addetti ai lavori.
Il professor Krugman, che è sempre stato un critico severo delle scelte compiute dall’amministrazione Bush, non si limita a sottolineare ciò che è andato storto ma propone anche alcune ipotesi di riforma che i democratici devono riprendere e riproporre, tornando al governo degli Stati Uniti.
Una proposta su tutte la proposta di riforma sanitaria, già fallita durante l’amministrazione Clinton.
E non è un caso che Barack Obama abbia proprio deciso di prendere il toro per le corna, iniziando il percorso legislativo che dovrebbe portare ad un’epocale legge di riforma sanitaria con l’estensione della copertura anche a molti che oggi ne sono esclusi.