mercoledì 25 novembre 2009

ObaMao e i diritti civili



La foto è del logo della maglietta ObaMao pensata in Cina in vista della visita di Barack Obama.
L’idea testimonia una volta di più quanto Obama sia una vera propria icona come del resto lo era anche Mao. Da qui l’idea di ritrarlo come il grande timoniere.

In occasione della visita in Cina di Barack Obama riproponiamo alcuni passaggi significativi del suo discorso a Shanghai davanti agli studenti dell’Università Fudan

“[…]. Io credo che ciascun Paese debba delineare la propria rotta. La Cina è una nazione antica, con una cultura profondamente radicata. Al suo confronto gli Stati Uniti sono una nazione molto giovane, la cui cultura è influenzata da molteplici immigrati di origine diversa approdati ai nostri lidi, e dai documenti fondanti che ispirano la nostra democrazia. La nostra Costituzione prospetta una visione semplice dei rapporti umani, e custodisce numerosi principi e valori di fondo: che tutti gli uomini e le donne sono creati uguali e possiedono determinati diritti fondamentali; che il governo dovrebbe riflettere la volontà popolare e dare una risposta ai suoi desideri e alle sue necessità; che i commerci dovrebbero essere aperti, l'informazione liberamente accessibile, e che le leggi ? e non soltanto gli uomini - dovrebbero essere garanti dell'amministrazione della giustizia.

Naturalmente, la storia della nostra nazione non è stata esente da qualche capitolo difficile. Per molti versi, nel corso di molti anni, abbiamo lottato per poter far progredire la promessa di questi principi per tutto il nostro popolo, e plasmare così un'unione perfetta. Abbiamo combattuto una dolorosissima guerra civile, e affrancato dalla schiavitù una parte del nostro popolo. È occorso tempo prima che anche alle donne fosse esteso il diritto di voto, che i lavoratori conquistassero il diritto di organizzarsi, che gli immigrati di regioni diverse del pianeta si sentissero accolti e integrati. E anche dopo essere stati liberati, gli afroamericani continuarono a vivere in condizioni di segregazione dal resto della popolazione, senza essere considerati sullo stesso piano, finché non riuscirono a ottenere pieni e uguali diritti.

Niente di quanto ho elencato è stato facile da ottenere. Siamo riusciti però a fare progressi perché credevamo profondamente in quei principi di base, che ci sono serviti da bussola per orientarci nelle tempeste più terribili. Questo spiega perché Martin Luther King poté un giorno salire i gradini del Lincoln Memorial e chiedere che la nostra nazione vivesse concretamente ciò che si era impegnata a realizzare. Questo spiega perché gli immigrati dalla Cina in Kenya sono riusciti a ottenere asilo nella nostra patria; perché nel nostro Paese le opportunità siano a disposizione di chiunque sia disposto a lavorare per ottenerle, e perché uno come me, che meno di 50 anni fa avrebbe avuto difficoltà a votare in alcune regioni americane, oggi è in grado di servire il suo Paese come presidente. Questo spiega perché l'America parlerà e diffonderà sempre questi principi di base in tutto il mondo.

Noi non cerchiamo di imporre alcun sistema di governo a nessuna nazione, ma al contempo non crediamo che i principi costitutivi della nostra nazione siano esclusivi della nostra nazione. Noi crediamo che la libertà di espressione, la libertà di religione, come pure la libertà di accesso all'informazione e alla partecipazione politica siano diritti universali, di cui dovrebbero usufruire tutti i popoli della Terra, comprese le minoranze etniche e religiose, che si trovino negli Stati Uniti, in Cina o in qualsiasi altra nazione. In realtà è proprio questo rispetto per i diritti universali a ispirare l'America nella sua apertura verso gli altri Paesi; il nostro rispetto per le culture diverse; il nostro impegno nei confronti della legalità internazionale; e la nostra fede nel futuro.

Queste cose dovreste conoscere dell'America. So che anche noi abbiamo moltissimo da imparare sulla Cina. Osservando questa splendida città, guardandomi attorno in questa stessa sala, credo che le nostre nazioni abbiano qualcosa di molto importante in comune: crediamo nel futuro. Né gli Stati Uniti né la Cina sono soddisfatti di ciò che hanno raggiunto. Se la Cina è una nazione antica, è per altro evidente che essa guarda anche in modo lungimirante al futuro, con fiducia, ambizione, impegno, per far sì che le generazioni del domani vivano meglio di quelle odierne. […].”

Barack Obama, a Shanghai il 16 novembre 2009


Per chi volesse leggere la traduzione integrale del discorso la trova qui.
Segnaliamo anche alcuni commenti sugli esiti del viaggio di Obama in Oriente: quello di Federico Rampini e quello di Limes. Sono commenti attenti e ben argomentati che sottolineano come grandi risultati concreti non siano stati raggiunti. Alcuni commentatori hanno fatto notare che Obama non ha avuto la forza di criticare la Cina per via del suo crescente potere economico. Ricordiamo che la Cina è di gran lunga il maggior finanziatore del debito pubblico americano. C’è chi si spinge a sottolineare l’ascesa della Cina e il declino degli Stati Uniti, parlando del XXI secolo come secolo cinese.
E’ senz’altro vero ma l’approccio di Obama all’Oriente e la sua dottrina di politica estera multilaterale dimostrano appunto che la sua amministrazione ha ben compreso il fenomeno dell’interdipendenza globale che coinvolge anche gli Usa e la Cina, facendole abbandonare l’unilateralismo e la cowboy diplomacy di Bush che tante simpatie avevano alienato all’egemonia americana.
Inoltre a nostro avviso la dottrina Obama dimostra una volta di più che Barack Obama è il miglior democratico attualmente sulla piazza.

Per chi mastica l’inglese ecco il discorso in lingua originale. Buona visione!

Il secolo cinese

di Giuseppe Varini

Federico Rampini
Il secolo cinese
Mondadori



“[…]. La Cina suscita anche diverse paure. La più immediata, quella che riempie le prime pagine dei nostri giornali, è la paura economica. Ed è anche la meno giustificata. Se in Cina i tessuti filati costano un decimo di quello che costano da noi, anche in Italia c’è chi riesce a guadagnare disegnando vestiti che si possono produrre a buon mercato. Se i computer “made in China” costano un terzo, ogni agenzia turistica italiana risparmia su un apparecchio indispensabile per offrire i propri servizi ai clienti del mondo intero. I benefici della produttività cinese circolano invisibili in mezzo a noi , nelle nostre case e nei nostri uffici. Il “prezzo cinese” - cioè il fatto che questo paese è ormai in grado di produrre pressoché tutto, e con un 50-70 per cento di sconto – è una realtà economica che non si può rifiutare. Cercare di sottrarsi alla concorrenza cinese è impossibile, perché serve anche a noi. Abbiamo smesso da tempo di fabbricare computer o telefonini. Chiudere alla Cina vorrebbe dire amputarci di una parte del nostro tenore di vita. Quello sconto cinese che per alcuni di noi è una minaccia, per altri rappresenta un guadagno (consumatori, imprese che delocalizzano). Il 59 per cento delle esportazioni “made in China” in realtà sono “nostre”, cioè fabbricate da multinazionali dei paesi ricchi. Certo i molti benefici che otteniamo senza neppure saperlo coesistono con i danni immediati e dolorosi per industrie e lavoratori spazzati via da una competizione massacrante. C'è poi anche un “effetto declassamento”, che accentua la nostra sindrome psicologica del declino. Ben presto, quel club dei paesi ricchi che è il G7 sembrerà un’anacronistica finzione. Le sorti dell’economia mondiale - le nostre – verranno negoziate più semplicemente all’interno di un G2, fra America e Cina. Vista da Pechino, l’Italia è una miniatura: la nostra popolazione è la metà di una provincia cinese come lo Henan o lo Shandong (che molti italiani non hanno mai sentito nominare). Per ignoranza, pigrizia, provincialismo, l’Italia ha perso terreno anche rispetto ad altri paesi europei; non ha visto arrivare il secolo cinese, e quando ha aperto gli occhi li ha richiusi subito, urlando di paura. Come se dalla Cina ci si dovesse, ci si potesse soltanto “difendere”.
Oltre all’ossessione del “made in China”, si individuano paure ben più legittime. A questo ritmo di sviluppo, tra vent’anni la Cina avrà 200 milioni di automobili. Già oggi lo smog cinese contamina l’atmosfera di tutta la Terra: polveri tossiche di Shanghai vengono rintracciate nell’aria che si respira in Europa e in America. Per soddisfare il bisogno di legname dell’economia cinese, ogni anno in Indonesia vengono distrutte foreste pari alle dimensioni della Svizzera. L’impatto sulle risorse naturali del pianeta è una delle incognite più gravi del nostro futuro.
Il regime politico di Pechino rappresenta un’altra seria ragione di preoccupazione. Se nei prossimi anni non avverranno cambiamenti profondi, siamo destinati ad avviarci verso una situazione inedita nella storia contemporanea: per la prima volta la più grande economia del pianeta non sarà governata da un sistema democratico. Chi oggi mal sopporta l’egemonia americana rischia di fare i conti, in un futuro molto vicino, con un’altra superpotenza in cui le decisioni vengono prese senza trasparenza, senza contropoteri interni, senza gli anticorpi di un’opposizione, di una stampa libera, di una magistratura indipendente. Gli attuali dirigenti cinesi ricorrono spesso all’espressione “ascesa pacifica” per descrivere in tono rassicurante la traiettoria del loro paese. Ma al di là della propaganda, non sappiamo che tipo di superpotenza si propone di essere la Cina. […].”

Federico Rampini


Il libro è del 2005 ma l’analisi è azzeccata. Anche in questa crisi economica mondiale la Cina è uno dei paesi che ha reagito meglio ricominciando a crescere. Rampini pone molte domande e analizza attentamente le criticità ma non dà risposte dirette. Da corrispondente di razza fa emergere la realtà della Cina contemporanea con i suoi punti di eccellenza e le sue miserie attraverso il racconto di fatti, situazioni, storie individuali e collettive che introducono il lettore a questo paese enorme che già condiziona e condizionerà sempre di più l’economia e la politica mondiale.
La settimana scorsa Barack Obama si è recato in visita in Cina e noi per l’occasione vogliamo riproporre questo libro attento, veramente ben documentato e lungimirante, a nostro avviso uno dei migliori di Federico Rampini. Tra l’altro è molto ben scritto e si legge molto velocemente. Dote non trascurabile per un saggio di oltre trecento pagine.

martedì 17 novembre 2009

Patrizia Viviani un volto nuovo



Ecco una bella faccia e non perchè è carina ma perchè ha un eccellente profilo personale e politico e un'ottimo programma.
Lei è Patrizia Viviani candidata alle primarie del PD per il sindaco a Pietrasanta (LU), biomedico e biologa, nei DS dal 2005, coordinatrice di circolo a Pietrasanta.
Ed ecco alcune linee guida chiare del suo programma che vuole costruire con tutta la cittadinanza, dal suo blog che trovate qui:

"Ci piace lavorare insieme per contribuire a migliorare la qualità della vita di tutti noi.

si al dialogo con il cittadino
si alla tutela dell'ambiente e del territorio,
si alla salute dei cittadini prima di tutto

si all'edilizia convenzionata
si ai progetti prima casa per i giovani
si alle frazioni e alle loro necessità

si a Pietrasanta città d'arte
si alla Versiliana = cultura per tutti
si al patrimonio storico-culturale

si al turismo annuale
si a Pietrasanta dal mare alla collina
si alle manifestazioni di richiamo

si allo sviluppo economico
si alla semplificazione burocratica
si alla valorizzazione del volontariato e dell'associazionismo"

Patriza Viviani


Non so voi ma è il tipo di candidato che vorremmo vedere in ogni primaria per un incarico monocratico.
Se per caso avete amici e/o parenti Pietrasantini ancora indecisi invitateli a informarsi e conoscere la proposta politica di Patrizia Viviani.
Ricordiamo che c'è ormai poco tempo: le primarie a Pietrasanta sono questa domenica 22/11/2009.

Adesso lo possiamo dire: davvero una bella faccia, una di quelle facce che ne vorremmo vedere di più nel nostro Partito Democratico!

Un grande in bocca al lupo Patrizia!

lunedì 16 novembre 2009

Mille Piazze per l'Italia


Ecco un'iniziativa che siamo contenti di segnalarvi per mandare subito un messaggio al centrodestra che propone una pessima riforma della giustizia che serve solo al premier. Qui trovate cosa potete fare concretamente nella vostra città per essere d'aiuto. Per l'Italia, la Costituzione, le sue leggi.
L'occasione è importante. Non mancate!

lunedì 9 novembre 2009

Cosa ne pensate del terzo mandato a Vasco Errani?



Si fa un gran parlare del terzo mandato al presidente Errani? Voi cosa ne pensate: favorevoli? Contrari? E soprattutto perchè?
Ricordiamo che per statuto Errani deve chiedere la deroga all'Assemblea regionale. Molti dicono che la questione non è regolamentare ma politica. Voi cosa pensate?
Ecco alcuni articoli sul tema: romagnaoggi, il corriere della sera bologna.
Se poi aveste voglia potete votare il sondaggio che trovate in questo Blog

domenica 8 novembre 2009

Bersani e gli altri: gli interventi all'Assemblea Nazionale e un po' di rassegna stampa



Per chi li avesse persi ecco dall’Assemblea di sabato 07/11/2009 gli interventi a nostro avviso più interessanti.

L’intervento di Pier Luigi Bersani:


Quello di Dario Franceschini:


Quello di Ignazio Marino:


E poi quello bellissimo di Giuseppe Civati che ci piace sempre un sacco:


E le conclusioni di Pier Luigi Bersani:


E un po’ di rassegna stampa: i commenti di Repubblica, il Corriere, la Stampa, l’Unità.

L’avvio ci pare molto promettente. Chi ben comincia…

venerdì 6 novembre 2009

Lost in Pd

di Giuseppe Varini

Marco Damilano
Lost in Pd
Sperling & Kupfler 2009



[…]. È la presenza del Pd, la sua capacità di fare opposizione e di non accodarsi al governo, che permette al berlusconismo di definirsi ancora espressione di un sistema democratico e non di un regime. Non è scontata la presenza della sinistra in un Paese, così come non è data per sempre l’esistenza di un’opposizione. Anche l’opposizione può sparire, e non in conseguenza di un golpe militare o di una marcia fascista, ma per la pigrizia, l’ignavia, l’incapacità dei suoi partiti, dei suoi dirigenti, dei suoi intellettuali. Lasciando più soli i suoi militanti e quella parte di Italia che avrebbe avuto il dovere di rappresentare: paure, speranze, sogni. La voglia di cambiare nell’Italia del Cavaliere, che appare totalmente berlusconizzata ma anche stanca, vecchia, depressa, senza prospettive di futuro che non sia il lento e allegrissimo declino assicurato da Berlusconi. Il rivoluzionario, il sovversivo, l’eversore che in realtà è il Gran Conservatore, il tappo che tiene bloccata l’Italia ai suoi mali storici.
Per questo la crisi del Partito democratico riguarda anche chi non vota Pd, chi l’ha votato e non lo farà mai più, chi non lo voterà mai. È la crisi della rappresentanza e della politica in Italia. Per questo, dopo il disastro di questi mesi, dopo il rischio di scomparire, sarà necessario fondare un nuovo Partito democratico, un Pd2 in grado questa volta di incontrare davvero la rabbia e i desideri profondi che si muovono nella società italiana. […].

Marco Damilano


Marco Damilano è giornalista dell’Espresso e fine commentatore politico. Questo libro, che arriva fino alle europee e amministrative comprese, ripercorre le vicende e traversie del Pd dalla fondazione al 7 giugno 2009 appunto. Dopo come tutti sappiamo si è svolto il primo congresso del Pd che deve essere l’occasione del rilancio.
Damilano ricostruisce con precisione e acume i passaggi, gli errori, le sconfitte e le occasioni perdute che hanno costellato questi due anni. L’analisi è a volte impietosa ma sempre ben documentata e argomentata. Un’ottima lettura per ricordare o ricostruire come siamo arrivati fino a qui.
Domani c’è l’Assemblea nazionale e l’insediamento di Pier Luigi Bersani come segretario e nei prossimi giorni avremo modo di commentarne il discorso e le prime decisioni.
Da quel po’ che si è riusciti a capire sulla stampa l’attenzione dovrebbe essere rivolta al lavoro che è senz’altro un tema che in tempi di crisi economica agita la società italiana.

domenica 1 novembre 2009

La coscienza di un liberal

di Giuseppe Varini

Paul Krugman
La coscienza di un liberal
Editori Laterza 2008



“[…]. E queste battaglie avevano come posta in palio non solo la difesa del nostro tessuto sociale, ma anche la difesa della nostra democrazia. Il New Deal ha fatto più che creare una middle-class, ha anche portato l’America più vicina ai suoi ideali democratici, dando ai lavoratori un potere politico e mettendo fine al predominio dell’élite dei ricchi. […]. La legge sulla previdenza sociale del 1935 ha condotto, per progressione naturale, alla legge sul diritto di voto promulgata trent’anni dopo. Il pensiero liberal, in altre parole, non riguarda solo lo Stato sociale, ma anche la democrazia e la legalità. E quelli che si autodefiniscono conservatori stanno sul fronte opposto, con una strategia politica fondata, in sostanza, sulla strumentalizzazione dell’indisponibilità da parte di alcuni americani a garantire uguaglianza di diritti ai loro concittadini, a quelli che non hanno il loro stesso colore della pelle, a quelli che non hanno la loro stessa fede, a quelli che non hanno le loro stesse preferenze sessuali.
[…]. Quando liberal e conservatori si scontrano sul diritto di voto nell’America dei giorni nostri, i liberal sono sempre quelli che cercano di garantire questo diritto ai cittadini, mentre i conservatori sono sempre quelli che cercano di impedire ad alcuni cittadini di votare. Quando si scontrano sulle prerogative del governo, i liberal sono sempre quelli che difendono il rispetto delle procedure, mentre i conservatori sono sempre quelli che sostengono che chi ha il potere ha il diritto di fare come meglio crede. Dopo l’11 settembre l’amministrazione Bush ha cercato di incoraggiare un clima politico profondamente estraneo alla tradizione americana, in cui qualsiasi critica nei confronti del presidente era considerata non patriottica, e i conservatori americani, con poche eccezioni, hanno approvato con entusiasmo.
Credo in una società relativamente egualitaria, supportata da istituzioni che limitino gli eccessi di ricchezza e povertà. Credo nella democrazia, nelle libertà civili e nello Stato di diritto. Tutto questo fa di me un liberal, e ne vado orgoglioso.”

Paul Krugman


Paul Krugman è stato premio Nobel per l’economia 2008, insegna all’Università di Princeton ed è anche editorialista del New York Times.

Questo libro, scritto prima della vittoria di Barack Obama nelle elezioni presidenziali delle scorso anno e prima della grave crisi economica, ripercorre trent’anni e più di politica americana, sottolineando le scelte di politica economica che hanno avuto ricadute progressiste in termini di estensione dei diritti civili e crescita di una società middle-class, figlia del New Deal, e analizza l’involuzione conservatrice della società americana, iniziata proprio circa trent’anni fa all’epoca di Nixon e Reagan, che ha portato al regresso e alla messa in discussione di tali conquiste sociali e civili.
Un’analisi serrata di ciò che è andato storto, condotta con il rigore e l’acume scientifico di un grande studioso che ripercorre passo passo le scelte politiche e le ricadute in termini di politiche economiche e sociali di tali scelte.
Non è il classico manuale accademico ma un libro ben scritto, chiaro e di agevole lettura anche per i non addetti ai lavori.
Il professor Krugman, che è sempre stato un critico severo delle scelte compiute dall’amministrazione Bush, non si limita a sottolineare ciò che è andato storto ma propone anche alcune ipotesi di riforma che i democratici devono riprendere e riproporre, tornando al governo degli Stati Uniti.
Una proposta su tutte la proposta di riforma sanitaria, già fallita durante l’amministrazione Clinton.
E non è un caso che Barack Obama abbia proprio deciso di prendere il toro per le corna, iniziando il percorso legislativo che dovrebbe portare ad un’epocale legge di riforma sanitaria con l’estensione della copertura anche a molti che oggi ne sono esclusi.